APPUNTI SU UN RECENTE LIBRO RIGUARDANTE CASSIODORO

Da un amico mi è stato segnalato, pochi giorni fa, il seguente libro: Mario Pagano, Cassiodoro e la sua famiglia. Il Vivarium. Nuove ricerche storico-archeologiche. Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator Viator, Napoli, Edizioni Belle Epoque, 2020, pp. 96 («Cosentia». Quaderni della Soprintendenza ABAP CZ – CS – KR. Cosenza 1).  
Sebbene interessanti siano le considerazioni dell’autore sugli scavi archeologici eseguiti a Scolacium (pp. 37-46); benché, inoltre, gli vada riconosciuto il merito di avere identificato il sarcofago del bisnonno di Cassiodoro in una “cassa” di “marmo proconnesio” (ma è davvero essa?) custodita “nella Cattedrale di Squillace” e “decorata con ben tre cingula militaria” (p. 20); quantunque sia apprezzabile, infine, “il progetto Cassiodoro” (pp. 51-57), che mira “alla conoscenza, alla tutela e alla valorizzazione dei luoghi cassiodorei per poter sfruttare appieno le potenzialità culturali e turistiche del territorio” (p. 51), nondimeno nel libro si trovano parecchi errori, motivo per cui debbo dissentire da quanto mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, scrive nell’Introduzione (p. 12), cioè che il “grande dono” del Pagano “arricchisce la conoscenza del nostro illustre intellettuale”. Se da un lato, infatti, esso può sembrare una pietanza gustosa e nutriente a chi è digiuno di cose cassiodoree, d’altro lato, però, costituisce un pasto dove ci sono inesattezze tali da non rendere affatto ‘ricco’ di notizie rispondenti al vero chi lo consuma. Pertanto all’autore del libro in questione, il quale puntualizza che su Cassiodoro “si è scritto […] non sempre correttamente” (p. 15), faccio notare che nemmeno lui ha “scritto […] sempre” in modo corretto sullo Squillacese. A riprova di ciò ecco quanto segue:  
1) il monastero Vivariense, così chiamato da Cassiodoro nel cap. XXIX delle sue Institutiones (ed. R.A.B.  Mynors, Oxford 1937, pp. 73-74), vien detto dal Pagano Vivarium (titolo di copertina, pp. 25, 28, 31, 35, 52, 54, 55, 65, 66, 67), che, invece, è un toponimo d’epoca moderna indicante il territorio dove il monastero fu fondato (cfr. a tale riguardo L. Viscido, Ricerche sulle fondazioni monastiche di Cassiodoro e sulle sue Institutiones, Catanzaro 2011, pp. 39-41). Questo errore commette anche mons. Bertolone nell’Introduzione (pp. 5, 9, 10);
2) nel titolo di copertina e alle pagine 23 e 48 Cassiodoro è indicato coi nomi Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator Viator, di cui l’ultimo non gli appartiene. Probabilmente il Pagano ha attinto, in modo erroneo, al martirio dei santi Senatore, Viatore, Cassiodoro e Dominata, “una narrazione che è puro frutto di fantasia, composta certamente in Calabria tra il secolo VIII e l’XI” (E. Follieri, I santi dell’Italia greca, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s. 34, 1997, p. 11), e nella quale, a prescindere dal “carattere romanzesco e leggendario del testo” (F. Burgarella, A proposito della Passione di San Senatore e compagni, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s. 36, 1999, p. 49), Viatore è un martire distinto, però, da Cassiodoro;
3) la data di nascita di quest’ultimo viene collocata dal Pagano intorno al 470 (p. 23); si può provare, tuttavia, che egli nacque tra il 484 e il 490. Cfr. in merito, ad es., Th. Mommsen (ed.), Cassiodori Senatoris Variae, Berolini 1894 (MGH. Auct. Ant. 12), p. X; J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919 (New York 1975), p. 154; D.M. Cappuyns, Cassiodore, in Dict. d’hist. et de géogr. éccl. XI, Paris 1949, col. 1350; J.J. O’Donnell, Cassiodorus, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London  1979, pp. 21-23; V.A. Sirago, I Cassiodoro. Una famiglia calabrese alla direzione d’Italia nel V e VI secolo, Soveria Mannelli 1983, pp. 87-88;
4) l’Ordo generis Cassiodororum – leggo a p. 22 – fu composto “circa il 495” o nel 509. Non è così visto che, come sembra, esso risale ad un periodo successivo alla pubblicazione delle Variae lì menzionate (dopo, quindi, il 537/538), ovvero al tempo del soggiorno di Cassiodoro a Costantinopoli (cfr. Arn. Momigliano, Gli Anicii e la storiografia latina del VI secolo d.C., in “Rendiconti Accademia Nazionale dei Lincei”. Classe di Scienze morali, stor. e filol. 11, 1956, p. 290; J.J. O’Donnell, cit., p. 261; L. Viscido [ed.], Ordo generis Cassiodororum – Excerpta –, Napoli 1992 [Università degli Studi di Salerno. Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, 9]), pp. 20-27), dove egli sicuramente si trovava nel 550 con Flavio Rufio Petronio Nicomaco Cetego (cfr. Vigil., Ep. ad Rust. et Seb.: PL 69, 49A), console nel 504 (cfr. J. Sundwall, cit., pp. 107-109; J.R. Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire, II, Cambridge University Press 1980, pp. 281-282), al quale l’Ordo è dedicato. Certo, essendoci pervenuti dell’opera soltanto degli estratti curati da un epitomatore, non sappiamo quali modifiche vi siano state apportate. Poiché negli excerpta, però, vengono ricordate le Variae e non possiamo stabilire se queste fossero citate solo dall’epitomatore o venissero già rammentate nella versione originale dell’Ordo, la sua data di composizione è da fissare, ad ogni modo, dopo il 537/538 e non prima;
5) leggo, inoltre, che il padre di chi si sarebbe adoperato, col passar degli anni, per fondare un cenobio a Vivarium ricoprì la carica di magister officiorum (pp. 22-24, 48). Non esiste alcun elemento che attesti ciò. Stando, invece, a Var. I, 3, 5-6, 8 e I, 4, 4-6 (ed. A.J. Fridh, Turnholti 1973 [CCSL 96], pp. 12-14), è sicuro che il primo dei due venne eletto comes privatarum e sacrarum largitionum da Odoacre e che, sotto Teodorico, fu nominato prima governatore Bruttiorum et Lucaniae, poi prefetto del pretorio e, infine, patricius. Si noti, in aggiunta, che per divenire prefetto del pretorio non era necessario che uno avesse prima rivestito la carica di magister officiorum; poteva anche diventarlo se, in luogo di quest’ultima dignitas, gli fosse stata in precedenza assegnata quella, ad es., di comes sacrarum largitionum (cosa verificatasi per il padre del nostro Cassiodoro). Basti dire che tra il 416 e il 421 Flavio Giunio Quarto Palladio fu promosso da comes sacrarum largitionum a praefectus praetorio Italiae-Africae-Illyrici e che Epinicio, comes sacrarum largitionum nel 474, divenne dopo un anno praefectus praetorio Orientis (cfr. A. Chastagnol, La carriera senatoriale nel Basso Impero [Dopo Diocleziano], in S. Roda [a cura di], La parte migliore del genere umano. Aristocrazie, potere e ideologia nell’Occidente tardoantico, Torino 1996, pp. 55 e 57);  
6) a p. 21 c’è scritto: “Cassiodoro stesso afferma che le peschiere […], in parte realizzate tagliando la roccia del promontorio di Copanello, furono costruite dai suoi antenati diretti”. Non è vero. Questa notizia è solo frutto della fantasia del Pagano. In realtà Cassiodoro non parla dei suoi antenati, ma dice quanto segue: Fruitur (sogg. Squillace) marinis quoque copiosa deliciis, dum possidet vicina quae nos fecimus claustra Neptunia: ad pedem siquidem Moscii montis saxorum visceribus excavatis fluenta Nerei gurgitis decenter immisimus, ubi agmen piscium sub libera captivitate ludentium et delectatione reficit animos et ammiratione mulcet optutus […] (Var. XII, 15, 4, ed. cit., p. 482.). Trad. di L. Viscido, Cassiodoro Senatore, Variae, Cosenza 2005, p. 264: “Gode inoltre la città, e in abbondanza, di squisitezze marine poiché si trovano, non lontano da lì, le peschiere che ci siamo presi cura di far costruire. Ai piedi del monte Moscio, infatti, eseguiti profondi scavi fra le rocce, per nostra convenienza vi abbiamo immesso acqua di mare, dove una moltitudine di pesci, guizzando liberamente pur in uno stato di cattività, riempie l’animo di piacere e lo sguardo di meraviglia”; fecimus […] illic iuvante Domino grata receptacula, ubi sub claustro fideli vagetur piscium multitudo […] (Inst. I, 29, 1, ed. cit., p. 73). Trad. di M. Donnini, Cassiodoro, Le Istituzioni, Roma 2001, p. 115: “Abbiamo lì costruito, con l’aiuto del Signore, piacevoli vivai ove vagano moltissimi pesci entro uno sbarramento sicuro […]”;
7) a p. 21 c’è anche scritto che “il nonno” di Cassiodoro “ottenne […] la nomina a governatore della Lucania e del Bruzio” (la qual cosa è ribadita con altre parole a p. 48). Di lui abbiamo informazioni soltanto in una delle Variae del nipote, dalla quale si apprende che egli gessit, sotto Valentiniano III, tribuni et notarii laudabiliter dignitatem (I, 4, 10, ed. cit., p. 15) e che, dopo avere espletato l’incarico di recarsi come ambasciatore da Attila insieme col figlio del generale Aezio, incarico che sortì conseguenze positive, ricevette dal princeps il titolo di “illustre” e doni (ibid. 11-13, ed. cit., p. 15). L’antenato di Cassiodoro, tuttavia, preferì che in remunerationis locum gli venisse concesso di ritirarsi nelle amene contrade Bruttiorum al fine di poter vivere, come da suo desiderio, in tranquillità (ibid. 13, ed. cit., pp. 15-16). Seppur triste, l’imperatore fu consenziente al fatto che un uomo la cui collaborazione gli era stata necessaria non fosse più al suo servizio (tristis ab obsequio suo reliquit, quem sibi necessarium fuisse cognovit [ibid., ed. cit., p. 16]).
Tutto questo smentisce, ovviamente, le parole del Pagano, il quale o non ha letto bene Var. I, 4 oppure, ancora una volta, si è lasciato trasportare dalla fantasia.
Potrei aggiungere altro, ma de hoc satis.

Lorenzo Viscido

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