SKYLLETRIA O SKYLETRIA? di Lorenzo Viscido

Navigando in Internet mi è spesso capitato di leggere che alla dea Atena (la Minerva dei  Romani) veniva attribuito l’epiteto Skylletria. E non solo. Mi è pure capitato di leggere che in tal  modo viene denominata a Squillace un’agenzia di banchetti.
Dovrebbe trattarsi della trascrizione in italiano di una parola greca, ma, senza dubbio, è una  trascrizione errata perché Skylletria non esiste in greco (almeno con doppio lambda = due elle). Sfido  chiunque a dimostrarmi il contrario. Esiste, però, Σκυλήτρια (= Skyletria), lemma che così leggo  nella totalità dei dizionari in cui è stato registrato1. Nel confermarne l’impiego essi citano il verso 853  di un’opera in trimetri giambici, l’Alexandra, composta, in base al Lessico di Suida (X sec. d. C.), da  un Licofrone tragico2, vissuto tra il IV ed il III secolo a. C.3. In quel verso, infatti, viene usato il dativo  Σκυλητρίᾳ o Σκυλητρίαι, e ciò risulta da quasi tutte le edizioni critiche dell’Alexandra, fra le quali,  per menzionarne alcune, quelle di Ludwig Bachmann4, Gottfried Kinkel5, André Hurst6 e Simon  Hornblower7 (in altre edizioni – ne  parlerò meglio più avanti – si legge Σκυλλητίᾳ, it. “Scillezia”).
Per chi non ne fosse a conoscenza, Σκυλητρίᾳ è una lectio del manoscritto Vat. gr. 1307 (X/XI  sec.)8 e fa parte di uno di non pochi versi concernenti le peregrinazioni di Menelao dopo la guerra  di Troia, dovute, non come nell’Odissea (III, 284-312) ad una tempesta, ma, come in Erodoto (II,  118-119), alla ricerca della moglie Elena, ricerca che lo porta fino in Egitto, da dove poi, stando a  Licofrone, si reca in Italia.
Faccio osservare, inoltre, che, utilizzato nell’Alexandra con riferimento alla “vergine” Atena,  cui, giunto in Iapigia (nell’odierna Puglia), l’eroe spartano fa doni (e, difatti, in onore della dea  sorgeva un tempio sul promontorio Iapigio, oggi S. Maria di Leuca9), l’appellativo Σκυλήτρια,  nominativo di  Σκυλητρίᾳ, è da connettere, secondo Eustazio, arcivescovo di Tessalonica (XII  sec. d. C.), tanto col vocabolo σκῦλα (plurale neutro di σκῦλον, it. “spoglie”), quanto col verbo  σκυλάω o σκυλεύω10, aventi entrambi il valore semantico, tradotti all’infinito, di “spogliare”11  o, più specificamente, per dire nella nostra lingua quel che si legge nel Μέγα Λέξικον greco  di Anestis  Konstantinidis, “spogliare della sua armatura un nemico ucciso”12. A motivo di ciò  le traduzioni finora fatte di Σκυλήτρια sono state le seguenti: “spoliatrix”, “depraedatrix”,  “compilatrix”13, “spogliatrice dei nemici”14, “Plundering”15, “(Maiden) of the Spoils”16, “she who  strips a slain enemy”17, “qui dépouille les ennemis tués”18 ecc.
Orbene, che Atena venisse indicata con quell’epiteto non suscita alcuna meraviglia se si  considera che prima di Licofrone tale divinità era stata detta ληῖτις da Omero (Il. X, 460) e che  dopo Licofrone, oltre ad essere così pure detta da Pausania il Periegeta (Descr. Graeciae V, 14,  6), venne  definita σκυλευτική dal grammatico Tzetze (XII sec. d. C.) in schol. ad Lycophr. Alex.  853)19. Sono parole, queste, che significano, l’una, “predatrice”20, l’altra, volendomi avvalere del  lessico di Liddell e Scott, “stripping a slain enemy”21.
Pur non ignorando, circa Σκυλήτρια, il commento dell’arcivescovo Eustazio, un moderno  editore dell’Alexandra, Eduard Scheer, ha proposto la congettura Σκυλλητίᾳ22, in seguito accolta  da Emanuele Ciaceri23 e Lorenzo Mascialino24. Essa consisterebbe nel dativo di un termine ignoto in  greco e derivato, nell’immaginazione del filologo tedesco, dal toponimo Σκυλλήτιον , di cui sono noti,  in realtà, soltanto gli aggettivi Σκυλλητικός e Σκυλλητῖνος25. Accettando, comunque, la congettura  dello  Scheer, non solo si concorderebbe col Ciaceri, il quale erroneamente sosteneva che Σκυλήτρια  “non ha un chiaro significato”26, ma si darebbe  conferma alle riflessioni di Giulio Giannelli. Per  quest’ultimo, infatti,  visto che una “tradizione fac(eva) edificare da Ulisse” a Scillezio (= Squillace)  un “tempio di Atena” a seguito di un naufragio da lui qui subìto, la medesima dea “sarebbe stata”  chiamata “Atena Scillezia […]. E così” questa – sempre ad avviso del Giannelli – “doveva essere  riguardata come la divinità che protegge dai naufragi […], e i suoi santuari dovettero sorger qua e là  sulle coste tempestose ed infide della Salentina, del Golfo di Taranto e del Bruzio; primo e più noto  fra tutti” il tempio sull’odierno promontorio “di Stalettì”27, allora territorio squillacese.
Ovviamente se le riflessioni dello storico appena ricordato siano plausibili è cosa che lascio  al giudizio di quanti mi leggono. Essi, tuttavia, dovranno prendere atto dei seguenti particolari:  1) checché si pensi, non esiste alcuna fonte letteraria, né greca né latina, attestante che su quel  promontorio era stato innalzato un edificio sacro in onore di “Atena Scillezia”, edificio, peraltro,  di cui non si hanno nemmeno tracce archeologiche28; 2) circa il fatto che alla figlia di Zeus sarebbe  stata assegnata l’epiclesi “Scillezia” per metterne in risalto la venerazione a Squillace come divinità  invocata contro i naufragi, venerazione che si sarebbe poi praticata pure nel Salento, si tratta di un  dettaglio che non trova conferma nel mondo antico e che costituisce, in realtà, solo un prodotto  della fantasia di Eduard Scheer, prodotto caro ad Emanuele Ciaceri, Giulio Giannelli ed altri.
A questo punto, ponendomi sulla stessa linea di Gérard Lambin29 o André Hurst30, credo anch’io  che la congettura dello Scheer non possa ritenersi accettabile. Ho sopra dimostrato, infatti (con più  dettagli rispetto ai due editori francesi poc’anzi citati), che la lectio del Vat. gr. 1307 ben si addice alla  dea venerata in Iapigia. Ne consegue che la medesima lectio distingue la “vergine” salentina dall’Atena  che, stando ad alcuni, proteggeva dai naufragi e della quale Squillace era il principale centro di culto31.
A parte ciò, concludendo, ho qui inteso precisare che Skylletria non esiste in greco e che si  conosce, invece, l’impiego di Skyletria, del cui significato, orribile, s’è in precedenza discusso. E  a proposito di questo significato, non penso sia bello per un’agenzia chiamarsi, pur erroneamente,  Skylletria al posto di Skyletria. L’immagine che ne appare è terrificante.

                                                                                                        Lorenzo Viscido

NOTE
1. Cfr., ad es., Thesaurus Graecae Linguae ab Henrico Stephano constructus. Post editionem anglicam
novis additamentis auctum ordineque alphabetico digestum tertio ediderunt Carolus Benedictus
Hase…, Guilielmus Dindorfius et Ludovicus Dindorfius…, vol. VII, Parisiis 1854, col. 458D; L. Rocci,
Vocabolario greco-italiano, XVIII ed., Città di Castello 1965, s.h.v; H.G. Liddell – R. Scott, Greek –
English Lexicon with a revised supplement, Oxford University Press1996, s.h.v.
2. Cfr. Suidae Lexicon ex recognitione Immanuelis Bekkeri, Berolini 1854, s.v. Λυκόφρων.
3. Su quest’autore e sull’opera attribuitagli dal citato Lessico, opera circa la quale, tuttavia, alcuni studiosi
hanno proposto datazioni diverse fino agli inizi del II secolo a. C., basti consultare L’Alexandra de
Lycophron. Étude et traduction par G. Lambin, Presses Universitaires de Rennes 2005, pp. 9-40;
Licofrone, Alessandra. Introduzione, traduzione e note di V. Gigante Lanzara, Milano 20164, pp. 5-50.
4. Lycophronis Alexandra. Vol. I, Lipsiae 1830, p. 185.
5. Lycophronis Alexandra, Lipsiae 1880, p. 35.
6. Lycophron, Alexandra. Texte établi, traduit et annoté en collaboration avec A. Kolde, Paris 2008, p. 50.
7. Lykophron, Alexandra. Greek Text, Translation, Commentary and Introduction, Oxford University Press
2015, p. 328.
8. Su questo manoscritto cfr. L. Bachmann, cit., pp. XXII-XXIII; A. Hurst, cit., pp. LXX-LXXI.
9. Cfr. B. Rossignoli, L’Adriatico greco. Culti e miti minori, Roma 2004, pp. 94-97; G. Lambin, cit., p. 135,
nota 359; S. Hornblower, cit., p. 328, comm. al verso 853.
10. Cfr. G. Stallbaum (ed.), Eustathii Archiepiscopi Thessalonicensis Commentarii ad Homeri Iliadem.
Tomus II, Lipsiae 1828, p. 355, 34; tomus III, Lipsiae 1829, p. 339, 45-46. Si osservi che nomi uscenti
in –τρια e derivati da verbi terminanti in –άω o –εύω (simili a σκυλάω o σκυλεύω, da cui – l’ho già
detto – è possibile l’origine del lemma in questione) non mancano in greco. Cito, ad es., τρυγήτρια da
τρυγάω (Dem., Or. LVII, 45; D. Chr., Or. VII, 114; Poll., On. I, 222) e ἀθλήτρια da ἀθλεύω (Aët.,
Synt., proemium).
11. L. Rocci, cit., s.h.v.
12. Tomo IV, Atene 1906, s.v. σκυλεύω.
13. Cfr. Thesaurus… cit., col. 458D.
14. L. Rocci, cit., s.v. Σκυλήτρια.
15. The Alexandra of Lycophron with an English translation and explanatory notes by G.W. Mooney, London
1921, p. 91.
16. Callimachus and Lycophron with an English translation by A.W. Mair, London 1921, p. 565.
17. H. G. Liddell – R. Scott, cit., s.h.v.
18. A. Bailly, Dictionnaire grec-français, Hachette 1935, s.h.v.; G. Lambin, cit., p. 135, nota 359.
19. Cfr. E. Scheer, Lycophronis Alexandra. Vol. II scholia continens, Berolini 1908, p. 276.
20. Cfr. L. Rocci, cit., s.h.v. Il termine ληῖτις era già stato così inteso da alcuni traduttori dell’Iliade, fra i
quali Vincenzo Monti (Milano 18402, p. 220).
21. H. G. Liddell – R. Scott, cit., s.h.v.
22. Cfr. E. Scheer, cit. Vol. I, Berolini 1881, p. 74.
23. L’Alessandra di Licofrone. Testo, traduzione e commento, Catania 1901, p. 102.
24. Licophronis Alexandra, Lipsiae 1964, p. 39. Il testo del Mascialino è stato usato da Gérard Lambin
(cit.) e Valeria Gigante Lanzara (cit.) nelle loro traduzioni di quell’opera. Il Lambin (p.134) si discosta,
però, dall’edizione del Mascialino per quel che riguarda Σκυλλητίᾳ nel senso che preferisce la lezione
Σκυλητρίᾳ.
25. Cfr. Thesaurus… cit., coll. 459D-460A; L. Rocci, cit., s.h.v.
26. Cit., p. 261.
27. G. Giannelli, Culti e miti della Magna Grecia, Firenze 19632, pp. 176-177. La “tradizione” cui si riferisce
il Giannelli, che in ciò segue Emanuele Ciaceri (cit., p. 261), sarebbe basata su Solino, II, 8 (Mox in
Bruttiis ab Ulixe extructum templum Minervae: ed. Mommsen) e Servio, Comm. ad Aen. III, 553 (Alii
dicunt Ulixen post naufragium in Italia de navium fragmentis civitatem fecisse, quam ‘navifragum
Scyllaceum’ nominavit: ed. Thilo), ma su tale argomento preferisco tacere.
28. Comunque non si dimentichi che Atena, ovvero – ripeto – la Mineva dei Romani, fu di certo venerata
nell’area squillacese (resta ignoto, però, se con qualche epiteto e, a prescindere dalle supposizioni,
per quale motivo) a cominciare dal terzo decennio del secondo secolo a. C. Sotto il consolato di
Cassio Longino e Sestio Calvino, infatti, Squillace venne chiamata Scolacium Minervium (Vell. Pat.
I, 15, 4) e sotto l’imperatore Nerva prese il nome di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium
(cfr. in merito O. Lupis, La Magna Grecia. Rist. a cura di L. Malafarina, Roma 1982, pp. 164-165;
G. Giannelli, cit., p. 177). La qual cosa farebbe pur credere che da qualche parte potesse esserci un
santuario dedicato alla dea.
Circa i secoli anteriori al secondo, non sappiamo nulla del culto di Atena là dove i Romani avrebbero poi
dedotto la sunnominata Colonia. Qualunque riflessione si voglia fare in merito, quindi, è solo gratuita.
29. Cit.
30. Cit.
31. Cfr. E. Ciaceri, cit., p. 261; G. Giannelli, cit., p. 177. Pur leggendo Σκυλητρίᾳ nel testo dell’Alexandra,
sbagliava, a mio parere, il Lenormant (La Grande-Grèce. Tome II, Paris 1881, p. 339) nell’asserire che
la Minerva “adorée sur les rochers du promontoire Japygien” era “sûrement […] la déesse de Scyllètion”.

“La Radice” – Anno XXIV – N. 1  –  31.04.2018

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