Celebrata la festa della traslazione delle reliquie di Sant’Agazio con l’arcivescovo mons. Maniago

«La possibilità di celebrare due volte l’anno il santo patrono è l’occasione per sottolineare che il patrono è un fratello che nella fede accompagna il nostro cammino per tutto l’anno».
Lo ha affermato l’arcivescovo metropolita monsignor Claudio Maniago nell’omelia durante la concelebrazione eucaristica che ha presieduto lunedì sera nella basilica cattedrale di Squillace in occasione della festa della traslazione delle reliquie di Sant’Agazio, patrono della città e compatrono dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.Al rito religioso hanno preso parte diversi anche sacerdoti della forania, oltre al sindaco della città Pasquale Muccari e altri amministratori locali.
Le reliquie del santo martire sono custodite e venerate in una monumentale cappella della cattedrale di Squillace, mentre un braccio venne portato dal vescovo Marcello Sirleto, nel 1584, a Guardavalle, dove S. Agazio è stato anche eletto patrono.
A Squillace si celebrano tuttora due feste solenni: una il 16 gennaio, detta della traslazione o delle ossa, che rievoca l’arrivo miracoloso al lido di Squillace delle sante reliquie, e l’altra il 7 maggio, giorno del martirio del santo. Mons. Maniago ha sottolineati che il tempo che ci aspetta è impegnativo, da tutti i punti di vista: sono tante le sfide che ci attendono.
«Oggi – ha aggiunto – siamo qui a rinvigorire il nostro cammino, forti nella fede in Gesù. Noi possiamo coltivare e vivere la speranza, che diventa una virtù: noi speriamo perché sappiamo che con la forza di Sant’Agazio possiamo affrontare le sfide e le difficoltà.
Con il santo patrono abbiamo una sorta di scudo, per a città, la diocesi, per tutti quelli che si rivolgono a lui. Fare memoria e rinnovare la nostra devozione a Sant’Agazio diventa un appuntamento importante, non una sterile abitudine». «Le reliquie, le sue ossa in mezzo a noi – ha poi detto il presule – sono il richiamo che Sant’Agazio era una persona normale, che viveva la sua umanità.
Ma lui è stato coerente fino in fondo: non un eroe, ma un cristiano, un martire, quindi un esempio. Perché martire significa testimone, e la sua concreta testimonianza per noi è un punto di riferimento. Martiri, cioè testimoni, dobbiamo essere un po’ tutti. E il mondo in cui viviamo ci chiede una testimonianza vera e forte».

Salvatore Taverniti, Gazzetta del Sud 18 gen 23

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