Cesare da Stalettì, eretico bruciato nella piazza di Squillace

Chi era costui? Era un certo Cesare Santoro, sembra un barbiere di Stalettì, fatto arrosto dalla Santa Inquisizione sulla piazza di Squillace il 13 luglio del 1572.
Non sappiamo molto di lui e, quel poco che è scritto è custodito gelosamente nella Curia di Squillace, non accessibile a nessuno, nemmeno all’amico Monsignor Pietro Emidio Commodaro, docente emerito di Storia della Chiesa nella Facoltà Teologica San Pio X. Come diceva quel grande
uomo e maestro che fu Don Ciccio Laugelli, la Chiesa fa come la gatta: prima fa la c… e poi cerca di nasconderla con la zampetta. Ci sono atti di altri condannati, nascosti nella Curia di Squillace?
Di Cesare non sapevo nulla finché il mio carissimo cugino Vincenzo Codispoti (1916-1997) non andò nella Biblioteca Apostolica in Vaticano a cercare dei documenti riguardanti la Chiesa Matrice di Sant’Andrea.
Quei documenti servivano a Don Tito Voci, il quale stava scrivendo il suo
libro Indagine storica su Sant’Andrea sul Jonio (1978).
Vincenzo s’imbatté per caso su due lettere, scritte con grafia particolare dal vescovo di Squillace Marcello Sirleto allo zio, il famoso Cardinale Guglielmo Sirleto.
Il Cardinale Sirleto fu molto amato e stimato da San Carlo Borromeo, il quale lo propose a papa in tre conclavi, ma senza successo. Sirleto fondò poi il seminario vescovile di Squillace, la mia piccola Auschwitz, dove io sono sopravvissuto a due anni di dura prigionia – dai 12 ai 14 anni, cioè
dal 1953 al 1955 – sotto il vescovato di Fares.
La Santa Inquisizione Romana imperversava in quel periodo bruciando uomini e soprattutto povere donne con l’accusa di eresia.
Nessuno conoscerà mai il numero delle vittime fatte nei cinquecento anni – dal 1250 al 1750 circa – del funesto dominio della Santa Inquisizione, il cui capo più noto fu San (sic!) Roberto Bellarmino, Gesuita, che fece condannare Giordano Bruno e Galileo.
I roghi si accendevano dall’Argentina alla Scandinavia e alla Calabria. L’ultima strega bruciata a Parigi fu nel 1753, due anni dopo l’uscita del primo volume dell’Enciclopedia di Diderot.
Al povero Cesare fu riservato un trattamento di favore, come a Savonarola: poiché si era pentito e confessato, fu prima impiccato e subito dopo bruciato e, annota il vescovo Sirleto, per grazia del Signore morse (morì) cattolico. Dio gli dia la santa requie.
Caro Cesare, per vie imperscrutabili sono arrivato a conoscerti e mi sento in dovere di proporti quale rappresentante di tutte le vittime sconosciute (migliaia o milioni?) della Santa Inquisizione.
Dalla mia finestra vedo il costone di Copanello, sul quale si adagia la tua Stalettì, e sento vivo e possente l’anelito di libertà cercata a costo del tuo martirio.

Salvatore Mongiardo

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